Dalla vigna alla miniera il vino nel pinerolese

In questo periodo in cui si resta a casa e si ha il tempo di sorseggiare un buon bicchiere di vino ecco una novità che arriva dal Piemonte e in particolar modo dalla zona di Pinerolo.

Il Piemonte non è solo noto per i suoi ormai blasonati e pluripremiati Barolo e Barbaresco, o Arneis e Barbera, ma spingendosi a Pinerolo, quasi al confine con la Francia, troviamo una piccola fonte di ricchezza. Un piccolo patrimonio ampelografico che trova proprio qui le sue radici, già nell’800, e che contava almeno 200 vitigni autoctoni, nomi dal suono francese come Blanchet, Doux d’Henri, Ramiè ...

Non è facile qui fare il vino, qui nel Pinerolese si pratica viticoltura anche in condizioni difficoltose per la gestione della vite. Si passa dalle dolci colline ai muretti a secco, che pure svolgono un contributo prezioso agendo da volano termico. Risultati e soddisfazioni ce ne sono per vitigni autoctoni più unici che rari che vi si trovano qui e che aumentano l’ampio spettro che è il patrimonio vitivinicolo della nostra penisola.

Desideriamo in questo spazio incontrare selezioni interessanti che ci arrivano da una cantina di cui quest’anno, in occasione degli incontri di Chef in Green, abbiamo potuto assaggiare e conoscere alcuni prodotti, ed ora ecco un’ultima novità a rallegrare questo nuovo anno che speriamo si dimostri di gran lunga diverso del precedente.

Intendiamo farvi incontrare Autin, (il nome significa piccola vigna), il vigneto dietro casa da cui si ricava il vino da offrire agli ospiti.

In questo angolo di Piemonte i terreni sono di origine morenica con strato fertile sottile, con forte la presenza di scheletro e un mix di ghiaia e argilla, caratteristiche che rendono la zona adatta alla produzione di vini bianchi profumati, con ottima acidità e mineralità.

Mauro Camusso, il patron, e sua figlia si occupano coraggiosamente di questa produzione di vini cercando di vincere le sfide che i cambiamenti climatici continuano ad apportare e trovando le nuove opportunità da coltivare.

L’azienda creata 10 anni fa, quasi per scommessa, a Barge (Cuneo), non lontano dal Monviso, da Mauro Camusso e dal cugino Pier Giorgio Gasca, che ora non c’è più, offre una gamma che comprende tante tipologie: vini fermi (bianchi, rossi e rosati), vivaci, spumanti Metodo Classico e il passito.

Oggi la cantina arriva a circa 35.000 bottiglie, in parte già destinate all’estero. Nel 2016 ha iniziato la conversione a biologico e i risultati sono interessanti: il clima degli ultimi due anni ha inoltre favorito un’ottima qualità delle uve e scongiurato perdite di produzione. In vigna si usano solo zolfo in polvere e rame, ma già prima dell’inizio del periodo di conversione la sostenibilità era un diktat.

Infatti sono centinaia gli anni in cui le vigne potevano essere piantate anche a quote elevate, in cui l’olivo era diffuso in Piemonte, in cui d’estate si passava con le merci dalla Valle d’Aosta alla Svizzera perché anche oltre i 3.000 metri sui passi non c’erano i ghiacci ed allora ecco i vini procedere avanti fino alla miniera.

Innovazione, è la caratteristica di questa cantina che ama le sfide e comprende i mutamenti in atto. Il Nebbiolo, per chi non è piemontese, è il vitigno ed il vino legato alla Langa, ma coinvolge anche il Roero. Pochi si spingono sino al Carema, al Gattinara, al Ghemme, nel Nord Piemonte. Ma il Nebbiolo è un vitigno che può “osare”. E Camusso lo ha portato sulle pendici del Monviso, il Re di Pietra.

E lì ha prima portato in alto il Pinot noir, creando uno splendido Re Nero (dedicato proprio al Monviso). Ed ora la sfida, vinta, ha creato un nuovo vino Nebbiolo, Pinerolese, per ora. 

El Dolfo è dunque l’ultimo nato Pinerolese Rosso, e subito dal confinante Saluzzese si sono levate le proteste: l’area è già Saluzzese e non Pinerolese. Una lotta tra le province di Torino e Cuneo che testimonia l’assoluta qualità e le grandi prospettive di El Dolfo: noi a Chef in Green cercheremo di offrirgli il successo.

Curato dall’enologo Gianfranco Cordero, è un vino da scoprire che si affina un anno in botti francesi da 20 ettolitri, un altro anno in bottiglia. Il primo millesimo del Pinerolese Rosso El Dolfo è datato 2018 e affianca il ReNero, il pinot noir presentato un anno fa. Il nome dell’etichetta è dedicato ad Adolfo Beltramo, per tutti “Dolfo”, che era il suocero di Mauro Camusso proprietario del vigneto originariamente investito a vitigni autoctoni, come si usava un tempo, poi espiantati a favore del Nebbiolo.

Ma l’interessante di questa azienda sta anche nella sua duplice visione e, lungi dal perdere la propria identità, ne acquisisce una più forte, marcata, individuale, solida come le pietre di Luserna che sono il marchio di questa terra e che segnano anche la vita di Mauro Camusso, titolare della Cantina. Di formazione agronomo, viene portato al mondo della lavorazione delle pietre, dalla moglie Maura Beltramo che gestisce l’azienda di famiglia “Beltramo Flli”.

La famiglia Beltramo svolge il mestiere di cavatore e scalpellino fin da quattro generazioni, quando ancora quest’attività era affiancata da quella contadina. È quindi depositaria del “saper fare” dell’artigianato ricco e diversificato, tramandato da generazione in generazione, i risultati riflettono un processo evolutivo in continuo divenire in cui le abilità consolidate della tradizione hanno reso possibile il suo superamento attraverso l’innovazione.

Cave, lastroni e blocchi di gneiss lamellare, diventano il pane quotidiano, la principale attività, ma il vino scorre pur sempre nelle vene di Mauro, sono il suo sogno e nel 2010, nasce la Cantina, il vino prima era quello per il consumo famigliare e raramente era venduto.

Ma Mauro, un uomo alto e dallo sguardo penetrante, ma anche sorridente in quel suo azzurro, di chi sa dove vuole andare, di uno che ha le idee chiare, recupera vigne e vitigni del posto, scommettendo sul territorio, assicurandosi la collaborazione di rinomati enologi per produrre vini la cui eleganza diventa il biglietto da visita di una tradizione centellinata in ogni sorso, ma con lo sguardo rivolto al futuro.

Ma anche uno che trova il modo di utilizzare tutto quello che è in suo possesso ed allora le solide pietre come gli gneiss di Luserna o le pietre friabili come il talco servono a rendere i vini migliori. Infatti è sotto l’ombra del Monviso che il suo metodo classico viene lentamente affinato a temperatura costante nel tunnel della miniera di talco.

Infatti nei sei ettari di vigneti al confine della provincia di Torino con quella di Cuneo, tra Campiglione Fenile e Barge, Autin ha raccolto i grappoli di Pinot Nero e Chardonnay destinati a diventare spumante metodo classico insieme ad una piccola percentuale di uve locali.

Nel profondo Ovest del Piemonte dominato dal Monviso c’è una porzione di territorio in cui la terra e la pietra si confondono e dove fare agricoltura è una sfida costante.

Ne abbiamo assaggiati dei suoi vini durante i nostri incontri con chef, sommelier e amanti del buon bicchiere, durante Chef in Green 2020. Partendo da un bianco il Verbian, vitigno autoctono, che ci ha subito interessato per i sentori agrumati e la sua lunghezza in bocca, adatto alle degustazioni di prodotti in abbinamento offerte durante le giornate, il Finisidum, Pinero (Pinot nero), inserito nelle cene a più mani svoltesi durante i sette appuntamenti, oppure il Vermouth (Rosso, bianco e riserva) Pellengo – risling e Cupa d’or, sauvignon blanc e, a conclusione delle cene in abbinata al dessert, Passi di Giò, passito da Malvasia Moscata, ma è il suo spumante che ha anche una storia da raccontare.

Il metodo classico, lo Spumante Elì Brut e Spumante Elì brut Rosé, affina per almeno 30 mesi nelle ex miniere di talco della Val Germanasca, dove la temperatura costante di 10° in estate e in inverno, oltre alla totale mancanza di luce, garantiscono le condizioni ottimali per uno spumante.

Le gallerie della miniera sono visitabili con il trenino che porta i visitatori a conoscere questo mondo sotterraneo, che racconta uno spaccato di storia locale ed è diventato lo scrigno delle bollicine di L’Autin.

Merita la visita la cantina per la singolare presenza della pietra di Luserna con cui è stata anche costruita una barrique, a testimoniare la doppia anima di Camusso, viticoltore e cavatore.

Una bella serie di assaggi che ora si arricchisce di questa novità che avremo modo di abbinare ad ottimi piatti che gli chef, che incontreremo nei lunedi del 2021 sui percorsi di golf, saranno felici di creare.

 
 

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